Maturità

sabato 26 settembre 2015

Maturità...McPollastre parte seconda

C'è del marcio a Barcelona...

A questo punto potrebbe avere comodamente espulso un parassita alieno dal seno, quel magnifico seno e i capezzoli scuri e turgidi che lui aveva mordicchiato fino a strapparle una risata di rimprovero. È un peccato, tutta quella fatica nel liberarsi dalla trappola del suo orgasmo l’aveva fatto eccitare. Come quand’era giovane e provava un segreto piacere nel cercare di lavare i jeans oltraggiati dalle prime esperienze manuali di una liceale premurosa.

Potrebbe essersi trasformata nella sua ex. Capacissima di farlo, quella stronza. Era il genere di uscite che faceva al preciso e riuscito scopo di farlo incazzare. Magari la sua ex è stata sparata fuori con l’eiaculazione, magari la sua ex è un’eiaculazione catalana. 

Carlo entra in camera sorridendo. 


Quella puttana della sua ex, così insaziabile e malata da non ammettere nemmeno di essere venuta ostentando disprezzo da club delle superstiti del nobile clitoride, trasfigurata nell’orgasmo più violento e ostinato di sempre. La cosa stranamente non lo stupisce. Lo stesso non si può dire dell’espressione post-coitale della mutante. Ok, magari non aveva un sorriso da Mentadent, ma questa svalutazione gli sembra esagerata. Carlo ricorda il rumore di vetri rotti vagamente percepito al momento dell’esplosione. La mutante si è mangiata tutti i fottuti denti. Se quella parodia di pessimo gusto della pubblicità di una dentiera gli avesse chiesto l’accendino sotto il sole disturbante di Barceloneta, beh – avrebbe dovuto avvisare, mettere un’etichetta – questa vagina è unica nella sua lavorazione, per questo eventuali perdite, esplosioni e/o indigestioni di denti stanno ad indicare l’unicità del prodotto. 

L’avrebbe capita. L’avrebbe trattata con la cura che si riserva a un’edizione limitata.

Un buco grondante sangue recita sbrigativamente la parte di una bocca sensuale. Frammenti bianchi luccicano sparsi sul letto e sul pavimento, come biglietti perdenti della lotteria, strappati. 

Consolazione effimera, gli occhi sono di nuovo al loro posto, pieni di falsa adorazione come quelli di una bambola gonfiabile. Gli torna in mente una sociopatica che frequentava all’università, la faceva venire con la lingua e lei gli strappava i capelli a ciocche, o quella cassiera del supermercato che al climax si esibiva in spettacolari spasmi carpiati, una volta ha sbattuto la testa contro il muro e una mensola le ha spaccato il naso, il suo svenimento lo aveva lasciato annegare in un’imbarazzante osmosi di sangue e sperma. Se solo potessero vedere l’assaggiatrice qui presente – regressione alla pubertà con relativo rossore sulle guance. 

Carlo non sa se chiamare la sua ex per fargli sputare la verità sui migliori orgasmi della sua vita, o scappare da quella dolce alcova intrisa di romanticismo denti e sangue. Opta per la seconda. Chiamare la stronza sarebbe comunque una perdita di tempo, è ormai nota la sua abilità nel mascherare piacere e grandi risposte.

Rimette via l’iPhone, non prima di aver fatto l’ennesimo tentativo di capire a che cazzo serva quella nuova applicazione. Gliel’aveva consigliata la sera prima un norvegese che si ostinava a chiamarlo Marlon, questa la devi provare per forza, you are gogn’ lak it, aveva sputato circondato da un cimitero di shots. Ovviamente era un bidone, lo schermo s’impaccava e un grosso paio di labbra, grosse labbra di femmina cartonate, lampeggiava per pochi secondi prima di sparire. Ora l’inverosimile vagina splendeva come una slot machine. Comunque il nome non gli era mai sembrato così appropriato come adesso. Crazy Cunts. Gli ricorda qualcosa. 




















                                    Nella rambla il sole martella ancora, ma i pakistani sono già in affari, lattine di birra e messaggi subliminali. Offerte grezze e allettanti durano un attimo, poi spariscono insieme 
all’intenzione.

I tombini si aprono e inghiottono, le luci blu fanno rumore. Spuntano i tacchi e le prime caraffe di sangria, funghi nel torbido fosso dei desideri. La giornata lavorativa è finita ancora prima di iniziare. Stasera qualcuno scoperà, qualcuno confezionerà un viaggio intimo e discreto, qualcuno starà male spargendo pezzi in giro, e qualcun’altro starà a rodersi perché non l’hanno fatto entrare nelle prime due liste. Ricomincia il meraviglioso ciclo della vita. Anche stanotte niente di nuovo sotto i lampioni.

Le vetrate del Mc sono immacolate, Carlo butta un occhio cercando di cogliere la sua immagine tra i quarti posteriori di una famiglia in coda. Se non fosse che a un ragazzo in polo arancio e cappellino cambia colore l’acne, non se ne accorgerebbe neanche. Sta per sbattere il pugno sul vetro, chiedergli perché lo fissa e perché la sua crescita si è bloccata. Poi i culoni traslocano e lui può ammirarsi in tutto il suo splendore, seminale. La faccia. 

Se l’era dimenticato. La luce del sole fa risaltare la metà sinistra della sua faccia come un giubbino catarifrangente. Quel bianco perla che si vede solo quando vogliono farti comprare un dentifricio. Deve imboscarsi in un bagno, e fulmineo.


martedì 22 settembre 2015

Maturità...McPollastre

Un altro racconto estratto da Maturità
A dominare queste pagine gli ormoni pirotecnici delle donne di Barcelona, che, arrapate come suore all'Apocalisse, cercano di strappare pelle e dignità ad un povero, felice, turista italiano. Leggete, fatevi grasse risate, e se non vi basta, leggetelo fino in fondo



McPollastre



Qualcosa di vagamente somigliante a un orgasmo le sta senza dubbio prendendo la faccia.
Almeno così risulta da una sommaria indagine svolta da avamposto clitorideo. Carlo non ha mai visto niente del genere, nemmeno quando ad essere sconvolti erano i lineamenti irrimediabilmente perfetti della sua stramaledetta ex. Ma quando al tuo fallo viene chiesto di fare staffetta con banane e zucchine il romanticismo in qualche modo ne risente. Anche se diventi vegetariano e non consumi gli ortaggi prima di averli insaporiti con la salutare secrezione della tua anima gemella.
Occhi che roteano denti che stridono e spasmo alla mascella. La splendida dolce ragazza che ha agganciato a Barceloneta appena un’ora fa è diventata un quadro cubista, di quelli che vantano zero rispetto per le forme e la geometria umana. Anche se non apprezza la scelta stilistica, Carlo non può negare l’assoluta morbidezza del risvolto labiale dentro cui è sprofondato, ma non può evitare che la bocca si secchi e la lingua si ritiri nel palato, non quando un bell’occhio verde resta fisso su di lui e l’altro continua senza alcuna logica a sparire e riapparire dalla palpebra. 
Carlo cerca di ricordare se la sua ex lo avesse mai venerato, avesse eretto una statua o una targa commemorativa in suo onore per le leggendarie capacità orali, ma non riesce a concentrarsi, l’occhio è sparito e sembra che i denti stiano per spezzarsi, e dalla ragazza che tiene le sue spalle in una morsa d’acciaio potrebbe benissimo uscire un gremlin incazzoso come una biscia. Sta per mollarla lì, occhi schizzati e metamorfosi inclusa, calpestando il codice deontologico che impone a un gentiluomo di non abbandonare una arrapante signora sull’orlo dell'orgasmo – quando diventa cieco. Succede così, rumore di vetri rotti e scarico del cesso, e lui non ci vede più.

La posseduta è esplosa. 
In faccia. Negli occhi. Carlo vede bianco, vede solo deflagrazione. Qualche secondo di apnea e panico, poi le narici si stappano. Cerca di alzarsi stordito, ma la terrorista biologica non molla la presa. Allora morde forte l’interno coscia liscio e abbronzato, e sente i muscoli di lei allentarsi. Sfrega violento la faccia, ma i fluidi corporei alieni si sono già solidificati, quella che cerca di grattare via è una spiacevole maschera seminale. 
Si sente un neonato invischiato nella vagina di un mostro. Sbatte contro porte e arredamento e strategicamente cade di faccia sul lavandino, per il dolore ci sarà tempo dopo, adesso deve assolutamente togliersi quella maledetta placenta dagli occhi. Apre il rubinetto e si schiaffeggia l’occhio, acqua bollente e rantolo da bestia ferita. Sposta il getto sul freddo non credendo del tutto a quello che è costretto a fare, si stupra l’occhio destro con indice e medio. La metà destra della faccia è insensibile quando finalmente vede affiorare un po’ di luce, si guarda allo specchio. Riderebbe se solo trovasse un motivo per farlo, sembra il fantasma dell’opera del cazzo, ma in una versione che non lo farebbe cagare di striscio nemmeno da Christine.
Di là cade qualcosa, forse una moneta. 
Carlo si è dimenticato della mutante.


Later

Maturità...Sottomarca parte ultima

Dopo lo stallo alla messicana, ecco il gran finale sangue e lattice.
La fonte è sempre quella, per chi fosse uscito a prendere le sigarette: Maturità.
Questo è il primo racconto. La prima sciabolata sta per esser calata...


Renzo Gianello aveva appena spento una Lucky Strike. L'ultima del pacchetto, la più buona della giornata semplicemente perché dalla camera da letto arrivava il respiro di sua moglie, lento e ipnotico come sapeva essere solo dopo che le era venuto dentro, e la promessa di notti insonni galleggiava ancora nei meandri delle probabilità.
Aveva fumato in cucina, Stefania odia il passivo. L’arrogante tabacco tostato chiedeva di essere sciolto con due dita di single malt, come suo padre faceva sempre, nelle serate torride in cui le bollette sbattute sul tavolo con indignazione operaia facevano più rumore del rigore di Cabrini che sbatteva sui cartelloni, e come alla fine si era stranito quando gli avevano proibito di fare, non le metastasi al fegato ma gli infermieri, è un peccato non morire diceva a Renzo, per farlo ridere anche quando non c’era più l’ombra di un motivo per farlo.
Il posacenere fumava ancora, il telefono ha spaccato in due l’appartamento buio.
Renzo risponde, e quasi gli sembra di sentire un sospiro aggredirlo con studiata malinconia dalla camera. Sa che metterà giù tra una trentina di secondi al massimo e cerca di ricordare dove ha buttato i pezzi della divisa quando Stefania gli ha aperto la porta nuda chiaramente senza malizia.
Sette minuti dopo è in strada, la bocca ancora impastata dallo scotch che non ha voluto mischiare alla saliva calda di Stefania per non lasciare rimproveri sospesi – a quanto pare un tossico ha massacrato quattro pensionati in un bar appena mezzora fa.
Arriva sul posto, bar sport sedie di plastica verdi gelati della Sammontana quattro cadaveri sangue e piastrine sul bancone.
Un tizio sulla quarantina, più sopracciglia che capelli grembiule pezzato occhi sbarrati baffi grondanti sudore, e un altro di qualche anno più vecchio, occhi spenti bocca che si muove senza emettere suoni mani che sfregano sui jeans – cercano di dare una parvenza di senso agli sbadigli di due uomini in divisa seduti di fronte a loro.
Quello più vecchio e apparentemente più provato dei due all’entrata di Renzo si sblocca e si presenta, lancia occhiate dense di esperienza alle tre stelline sul suo braccio, come se trattare con i commissari di polizia fosse un hobby alternativo e un po’ naïf da praticare nei sabato pomeriggi estivi.
Il racconto del Brentani gli inumidisce la giacca, ma il commissario capisce che deve solo sfogare la tensione e lo lascia parlare per cinque minuti buoni. Quando il Brentani termina e chiede un bicchiere d’acqua al barista, ricevendo in risposta lo sguardo vacuo dei cani abbandonati in autostrada, Renzo pensa che probabilmente neanche sua moglie, che letteralmente si bagna per Law and Order Criminal Minds e The Mentalist, ha mai sentito parlare di un ciccione in costume tirolese che affetta quattro pensionati in un bar con un coltello per tritare le verdure con il solo movente di non aver trovato un ananas per soddisfare chissà quale allucinato bisogno.
E poi torna a casa come se fosse normale, la casa in cui abita in fondo alla strada.
Il Brentani, che evidentemente non era così in panico da riuscire a farsi pienamente i cazzi suoi, si è affacciato sulla strada proprio mentre il ciccione imbucava una porta forse un centinaio di metri più avanti.
Renzo fa un cenno a uno dei suoi uomini mentre guarda storto il macello ai suoi piedi e dice all’altro di aspettare la scientifica, e gli sembra di essere il fottuto Horatio Caine anche se è ben consapevole che i Ray Ban con la nebbia sarebbe cagare spudoratamente fuori dal vaso.
Chiede una sigaretta all’ agente per sopperire, e gli viene da chiedersi se non si sente coglione a fare irruzione in casa di un pluriomicida fumando Diana Blu.
Nel palazzo al primo piano ci sono due porte, una è socchiusa.
Renzo conclude che tutti i Brentani di questo mondo devono andare a farsi fottere.
Calcia la porta con poca convinzione e inquadra il divano alla sua destra, occupato.
Anche la poltrona lo è. Si accorge subito dalle pose innaturali che il salotto non sprizza di vita.
La poltrona è di quelle reclinabili con i braccioli gonfi e il porta bicchiere.
Il corpo seduto scomposto è di quelli magri nervosi, lo squarcio sul petto è irregolare come se qualcuno avesse frugato in cerca di qualcosa.
L’espressione è di quelle sorprese e se la guardi da vicino sotto la luce bugiarda delle alogene puoi vederci anche un po’ di rancore.
Il coltello è lungo e leggermente seghettato, ai piedi del corpo, pulito, non è stato usato.
Il divano è di quelli a tre posti di pelle nera che ti inchiodano gambe e schiena quando sudi.
Il corpo rilassato è di quelli grassi di quel grasso noncurante e spavaldo, il collo è lacerato in più punti e dallo squarcio più vicino alla carotide parte un rivolo rosso che corre su tutto il petto e si ferma sulla grossa cintura di cuoio.
La smorfia stampata sulla faccia è solo di rabbia repressa sul punto mai raggiunto di essere sfogata.
Il costume è tirolese.
Il coltello è largo piatto e liscio, il manico è precario nel pugno semiaperto, pulito tranne una sfumatura di sangue rappreso.
Una vendetta quanto mai puntuale della famigerata cosca dei pensionati al bar sport?
Renzo è sempre più convinto di fare la comparsa in un macabro scherzo.
Dall’appartamento di fianco l’eco di piatti che sbattono e acqua che scorre, i muri sottili travisano sulle forme di vita, in spregio dei litri di sangue che vanno stagnandosi sui corpi sul divano sul pavimento.
Renzo suona alla porta dell’appartamento accanto chiedendosi cosa ne è stato della sana abitudine del buon vicinato di farsi i cazzi altrui, impensabile che chi abita lì dentro sia rimasto indifferente agli effetti speciali della carneficina.
Un guanto di plastica verde si appoggia allo stipite, un sorriso da rivista di bricolage e uno squarcio di salotto arredato con cura patologica.
-è la signora Privetti?
-si, desidera?
-salve signora, scusi per l’ora, sono il commissario Gianello della polizia di stato, vorrei solo farle un paio di domande riguardo agli inquilini dell’appartamento di fianco al suo, purtroppo
-ma lo sa che lei è proprio un bell’uomo?
-si, la ringrazio signora, ma se per favore potesse prestarmi un attimo di attenzione…nell’appartamento qui di fianco è successo un fatto molto grave…i due ragazzi, gli inquilini, sono morti, quasi certamente assassinati
-beh, non mi dica che lei non ha mai avuto dei vicini rumorosi
-mi scusi?
-la prego non stia lì in mezzo al corridoio, si accomodi…gradisce qualcosa, un tè, un caffè
-no…no grazie, signora…stava dicendo qualcosa in merito ai vicini
L’acqua nel lavello scorre ancora, beffarda e incongruente.
-lava sempre i piatti a quest’ora, signora
-oh ma non sono piatti, commissario, lei è sposato?
Il lavello continua a sputare acqua senza nessun motivo apparente, Renzo fa due passi oltre il salotto plastificato ed entra nella cucina.
I dettagli salienti sono i ripiani in laminato scuro la macchina da caffè rossa lo scaffale per spezie in legno massiccio il secchio nero per la raccolta differenziata il lavello rotondo bianco, e – il ceppo in ciliegio, anonimo, privo di marche targhette o firme, con relativa serie di coltelli. Ne manca uno. Il lavello scorre, Renzo individua il motivo.
-lavava un coltello, signora
-si, commissario, glielo dicevo che erano rumorosi. Lei ha una vaga idea di quanto sia preziosa la solitudine…il silenzio?



THE END

Maturità...Sottomarca - parte 7

-ti lascio solo dieci minuti e fai una STRAGE della terza età
-non è come sembra
-cioè quello è KETCHUP e tu non sei davvero l’enorme TESTA DI CAZZO che fingi di essere…e NON PULIRE il coltello sul divano
-non è quello, dovevi vederli, avevano due palle di marmo
-stiamo parlando di quattro pensionati che giocavano a poker, VERO
-si, ma erano decisi, glielo leggevi negli occhi che facevano sul serio
-l’unica cosa che avresti potuto leggere nei loro occhi era un fottuto infarto
-HO DOVUTO farlo
-ti credo, credo fermamente che per ragioni imprescindibili tu abbia dovuto abbassare l’età media del quartiere, ma perché poi non sei andato a morire sotto un cavalcavia invece di riportare quel CULONE grondante SANGUE sul parquet
-non fai altro che criticare, è sempre stato così, NON ASCOLTI UN CAZZO di quello che dico e preferisci smontarmi e BASTA
-scusami tanto, ti chiedo perdono col cuore in mano, è solo che sono leggermente impreparato a situazioni del genere, ma stai sereno, la prossima volta che asfalti un paio di vecchiette con le buste della spesa o butti una molotov in un ospizio per qualche cazzo di ragione che conosci solo tu, sarò BEN LIETO di sentire tutti i dettagli mentre ti rimbocco le coperte e ti faccio un pompino
-hai ragione, faccio solo cazzate, non tutti hanno avuto la fortuna di avere un’istruzione privata, ah è vero, non tutti hanno per madre una TROIA e per padre un VENDUTO leccaculo
-non sai quanto ti invidio, dicono che le unioni interrazziali producano una prole più aperta e consapevole, ma tuo padre forse ha esagerato montandosi quella CAPRA
-BASTA, la tua voce da viziato figlio di puttana mi irrita, non posso reggerla oltre
-che CAZZO pensi di fare? Con quello ci trito la verdura
-tagliarti quella LINGUA di merda, forse potrai dire addirittura delle cose sensate
-e come pensi di spostare tutto quel GRASSO dal divano, ci hai pensato? Sei solo un patetico ciccione che fa fatica a vedersi l’UCCELLO
-stai SEDUTO, cazzo

-coltello da BISTECCA, e adesso chi taglia CHI? Sai, sono sempre stato curioso, sotto il quintale di grasso nascondi anche degli organi o lo stomaco si è preso tutto
-stai SEDUTO sul fottuto DIVANO
-sai di essere patetico, vero? NO, non ti puoi neanche rendere conto di quanto lo sei, dentro quel costume ridicolo tutto sporco di sangue, un povero MAIALE del cazzo
-stai zitto, non capisco cosa ci faccio ancora qui, a parlare con uno stronzo capace solo di sputare sentenze mentre incassa i soldi che il padre ha rubato senza farsi un fottuto giorno di lavoro
-è semplice…tu…tu senza di me non esisti, sei solo un triplo mento depresso e segaiolo la cui massima aspirazione e sfondarsi di CIBO e ACIDI, cazzo! se non avessi implorato un’amica, anzi se non le avessi offerto un paio di botte GRATIS, tu saresti ancora vergine, cazzo! sei uno spreco di spazio incomprensibile, fai solo cazzate mostruose…e non mi spiego perché ti ho sempre coperto, forse mi facevi pena
-dovrei tagliarti la gola
-chi cazzo è
-sei stato tu
-no, stupido maiale, ero seduto sul divano davanti a te
-beh, è saltata la luce
-allora ti funziona ancora il cervello, e io che dubitavo
-stai fermo dove sei, o ti taglio davvero quella gola del cazzo
-io ho il coltello più figlio di puttana tra i coltelli, uno stronzo abituato a penetrare e sventrare la carne del maiale, non puoi essere serio
-fai una mossa e non riuscirai più a dire stronzate
-zitto idiota…chi è
-non muoverti
-sono fermo come i tuoi neuroni
-ti stai muovendo
-chi c’è di là…Cosa fai, affili la lama sul parquet! Ah, merda! L’avrai tutta rovinata quando hai fatto l’ultimo samurai al bar…E adesso come cazzo la taglio l’insalata?


A presto il finale!

Ma se non stai più nella pelle, se un gibbone arrogante ti gratta sulla spalla, se stai sbranando le unghie e i filtri - ecco il rimedio naturale!


 Maturità










Leggere attentamente le avvertenze, il prodotto potrebbe avere effetti collaterali.
In caso di malessere contattare immediatamente un medico. Tenere fuori dalla portata dei bambini.

Maturità...Sottomarca - parte 6


Mornin'...beh, ora la questione si fa calda: il ciccione, masticato da una chimica inderogabile e spinto da un macaco rissoso, sente la missione e intende portarla a casa a costo della sua pelle tirolese, ma sul suo cammino incontra ostacoli pieni di ruggine e rancore. Questo boccone potrebbe anche ingozzarvi. 
Assumete con cautela. 
E lontano dai pasti.






Da Maturità


Augusto Brentani sa di avere una dipendenza dalla masturbazione.
Sua moglie la definirebbe malsana, ma lei è un caso particolare, usa quel termine anche quando parla della salsa tartara aperta da tre giorni.
Le seghe di Augusto vanno aldilà dell’innocente sfogo e della pausa ricreativa, sono occasione per riflessioni profondissime e sconvolgenti, metafisica applicata alla grezza conservazione. A volte sono così impegnate che sfociano in allucinazioni che lo lasciano stordito a fissare il vuoto col fazzoletto in mano per qualche minuto.
Una volta si è chiuso in bagno per concentrarsi su quella manza imperiale della Sharon Stone, nel romanticismo garantito dal tepore della tazza del cesso e dall’essenza al gelsomino sparata a intervalli regolari dal diffusore sopra l’armadietto. Soddisfatto il bisogno, assorto per un po’ da riflessioni inderogabili sulla vita dopo la morte, Augusto è tornato senza aloni in soggiorno per riappropriarsi del suo posto di lavoratore e marito devoto di fianco alla moglie, che però non c’era più.
Al suo posto una letale Sharon accavallante e irrigabile si esibiva in pose circensi che non lasciavano dubbi sull’assenza di biancheria intima. Augusto non è mai andato così vicino all’infarto, e anche se sapeva che prima o poi sarebbe successo, i chili di troppo le venti sigarette i digestivi, mai avrebbe pensato di restarci proprio quando i suoi sogni più inconfessabili si erano avverati.
Poi Sharon – centotrenta battiti al minuto – è sparita.
Puf. Il battito cardiaco le illusioni le speranze le palle, tutto è caduto senza fare rumore.
Un bidone dell’umido in pantofole e vestaglia gli sorrideva perplesso dal divano.
Quando un ciccione strizzato in un costume tirolese si è buttato dentro al bar Augusto non ha sorriso, non ha alzato gli occhi al cielo, non ha cercato uno sguardo di intesa con gli impassibili pokeristi del tavolo di fianco.
Ha sudato freddo. Un pensiero gli ha fatto cambiare posizione sulla sedia.
Che avesse fatto qualche sgarro a qualche ragazza dell’Oktoberfest su cui aveva fantasticato ieri pomeriggio? Una addirittura gli era apparsa a cena mentre assumeva la triste insalata impostagli dalla moglie, una bionda tutta tette e merletti con i contorni ben definiti dei desideri repressi, seduta di fianco a lui si sporgeva e gli infliggeva spietate visuali di una scollatura chilometrica.
Il rischio che un tirolese, reduce dall’orgia di Monaco e in preda a uno schizzo di gelosia etilica, entrasse nel bar dove lui beve tutte le sere un paio di Averna era tangibile.
Il tirolese inciampa sullo zerbino, bestemmia in italiano senza accento, lancia occhiate intorno forse per cogliere la malizia sui sorrisi dei clienti. In risposta solo espressioni prese in prestito dalle sagome dei poligoni di tiro. Unico movimento registrabile la goccia di sudore sulla tempia sinistra di Augusto, che sta facendo una smorfia assurda nel tentativo di costringerla a restare lì, cercando nel frattempo di scorgere un piglio vendicativo tra gli svariati doppi menti del cinghiale in calzettoni.
Il tirolese sfiora con una mano la coscia destra. Allunga qualcosa che somiglia a un collo oltre il bancone e incastra con gli occhi il barista – attore consumato che si aggrappa al gobbo. Il tizio, assorto nella pulizia di un calice scintillante con la lingua fuori mezzo metro per simulare lo sforzo, si sente in trappola e prova a buttare giù l’imitazione di un sorriso.
-un ananas, per favore
Il re della cantina piega lo straccio con lentezza cinematografica, tira un sospiro che vibra delle delusioni di un’esistenza intera, prende un bicchiere pulito.
Trenta secondi dopo appoggia quello che chiaramente è succo d’ ananas sul bancone, davanti agli occhi dilatati del tirolese, acido e stupore. Rimangono così forse un minuto, il tirolese e il re, cullati dai colpi di tosse densi di significato del poker. Espressioni di una società in conflitto da secoli, patrizi e plebei, aristocratici e borghesi, il barista che vuole chiudere e l’alcolizzato.
Le sagome forse percepiscono la tensione dello scontro, ma non possono sapere l’ammontare della posta in palio.
Uno fissa l’altro, l’altro fissa il bicchiere. L’amaro di Augusto fa un risucchio, ma il tirolese è troppo preso dalla tradizione e dai vecchi valori di una volta per accorgersene.
-dov’è l’ananas
-quello è succo d’ ananas, se non ci credi puoi assaggiare
-ti sembra che voglia assaggiare il tuo merdosissimo succo?
-non fa così schifo…è di marca
-ma io ti ho chiesto un ananas
-un ananas
-si, stupido pezzo di merda, un fottuto ananas
-non ce l’ho un ananas, calma le parole o levati dai coglioni
L’amaro di Augusto ritorna nel bicchiere con l’aggiunta di saliva.
Il poker non è mai stato giocato così in silenzio neanche nei poligoni di tiro per sordomuti.
-e ti sembra normale
-cosa
-ti sembra normale non avere un ananas
-beh
-no dico, in quale paese civilizzato ad un onesto cittadino non viene permesso di acquistare un ananas
-beh
-a me pare un sopruso un ingiustizia una grave carenza di servizio
-beh
-dillo un'altra volta
-cosa
-beh
-non mi piace il tuo tono
-a me non piace il modo in cui gestisci il tuo bar, se così si può definire
-sto chiudendo, se gentilmente
-gentilmente puoi andare a fare in culo
Le sagome si stropicciano un po’ sui posti. Il fruscio delle carte aumenta d’intensità quasi a voler censurare l’alterco con perbenismo vittoriano.
-probabilmente ho sbagliato io, venire qui in questa covo di depressione e morte a chiedere umilmente di essere servito al pari di quei bavosi relitti che giocano a poker, o meglio, ci giocherebbero se le loro mani non tremassero così tanto da non riuscire a reggersi l’uccello, pardon, quello che ancora ne resta
Bavosi relitti.
No, cazzo.
Onesti pensionati che pagano le tasse e mantengono mogli figli e nipoti, magari un po’ acciaccati, ma chi non lo sarebbe dopo quarant’anni di fabbrica. Un briciolo di rispetto per coloro che mandano avanti il paese accollandosi i figli tossici, si arrampicano per i parchi mandando giù gli sguardi di compassione di quattro stronzi che fanno jogging con le calzemaglie viola, tirano la sera stuprando il lobo temporale sottoponendosi a quiz condotti da faccioni tanoressici e finalmente, quando sono quasi certi di avere segnato un altro giorno sul calendario, vanno al bar a concedersi un poker con gli amici superstiti, ricordando i tempi in cui i tedeschi ti lanciavano le granate nel culo, ma le ragazze mica te la tiravano dietro con la fionda, anzi, dieci appuntamenti e il bacio della buonanotte, forse, e quante seghe ci facevamo ah ah – ma quel fottuto crucco se lo incontrassi per strada, ah.
L’ unica cosa che vogliono è essere ignorati da chi è giovane stronzo e ingrato.
No.
Si presenta un ciccione che con tutta probabilità scopa meno di loro e li insulta nel loro bar, il bar dove non devono aprire bocca per ordinare, il bar dove l’atmosfera è pregna di quella che da un momento all’ altro potrebbe essere l’ultima sigaretta.
Ma che cazzo.
Le sagome si scrollano il cemento di dosso e tirano indietro le sedie senza alzarle, gargoyles che si svegliano da incantesimi medievali. Lenti e inesorabili sono i servitori della patria, quando attaccano il nemico invasore con l’intento più vasto e inconfessabile di eliminare una generazione. Compatti e partigiani nell’incedere verso il tirolese, nella gola un colpo di tosse definitivo e in mano le carte che nessuno andrà mai a vedere, nella mente la realizzazione del sogno di ripetere la grande partita, in casa e senza spazzolini equivoci al fianco.
La mano austro-ungarica del vile invasore striscia automatica sulla coscia destra.
Augusto pensa che forse non è il solo ad uccidersi di seghe lì dentro.
Nel suo Averna c’è troppo ghiaccio.

Maturità...Sottomarca - parte 5

Da Maturità




-Chi era
-chi
-alla porta
-nessuno che poteva tirarci fuori indenni da questo buco
-si, ma cosa voleva
-difendere la quiete del suo appartamento da alcuni loschi figuri
-chi
-ehi dov’è il poliziotto buono
-ti ho solo chiesto chi era
-va bene cazzo, poi però voglio un bicchiere d’ acqua e una sigaretta, e un telefono
-non fare lo stronzo
-non fare il ciccione inquisitorio
-era scopabile
-necrofilo
 Maturità
-un cadavere
-quasi, si
-quindi
-cosa
-chi era, chi cazzo era, mi stai fottendo il cervello
-ok…non voglio infierire oltre, era la gentilissima padrona di casa
-la Privetti
-proprio
-cosa voleva la schizo
-proteggere il suo religioso sonno da certi sacrileghi disturbatori
-cosa ti ha detto
-sei troppo grasso per essere un cane molecolare
-non era una domanda difficile
-ma è difficile reggerti quando tieni quest’atteggiamento percussivo
-vaffanculo non me ne frega un cazzo
-abbassa due watt lo stereo
-te l’ha chiesto lei                                
-no, lei mi ha chiesto di sbatterla senza alcuna dignità fino a farle perdere i sensi, io ti chiedo di abbassare la musica…la testa
-fottiti, vai tu sei più vicino
-secondo quale legge fisica io sarei più vicino
-tu hai la poltrona
-si, ma la poltrona del cazzo è più lontana del tuo divano
-ma il mio divano del cazzo dà le spalle allo stereo
-ma lo stereo del cazzo è a un metro e mezzo dal tuo divano
-io non vedo lo stereo, dovrei alzarmi e girarmi e fare tutto il giro del divano, tu sei più vicino
in linea d’aria, e, vantaggio non trascurabile, vedi già lo stereo e sei già nell’ ordine di idee di abbassare il volume
-forse ho capito, tu sei un obeso ingombrante pezzo di merda che fa fatica ad alzarsi dal divano dopo che c'è sprofondato dentro con tutto il culo a due piazze che si porta dietro nella sua triste quotidianità intervallata da scleri premestruali come quello a cui si assiste ora
-hai mica un ananas
-porcalaputtana, ti ricordavo più resistente al lisergico
-un ananas
-hai forse visto un maledetto ananas in frigo o i baffi mi sono cresciuti così tanto
-in frigo ho visto solo un cappio e tante lacrime, e i tuoi baffi non possono neanche chiamarsi tali
-toccava a te trascinare il culo al super questa settimana
-io la sapevo diversa la favola
-questo perché il grasso ti è arrivato al cervello e hai perso pure le poche facoltà intellettuali che ancora potevi vantare, diciamo quelle standard di sopravvivenza, come ricordarsi di fare la spesa perché te lo dice lo stomaco
-sarà, ma toccava a te
-sarebbe toccato a me se tu non avessi ignorato il tuo turno la settimana scorsa
-porcadiquellaputtana la settimana scorsa sono stato qui appena due ore
-era il tuo turno e me ne sbatto se sei venuto qui a rifare il pavimento o a scoparti due scrofe nel fango
-vado a comprare un ananas
René sbatte la porta e rotola nella notte, impavido custode delle tradizioni e dei veri valori come non ne se ne vedono più neanche in Tirolo, calzettoni di lana verdi e ipotalamo mangiato dall’ acido.
Tommy bestemmia alla poltrona vuota, sgomento nel constatare la profondità del calco lasciato dal quarto posteriore alpestre, a cui non fa nemmeno in tempo a dire di prendere le Marlboro.


To be continued....

Maturità...Sottomarca - parte 4

La storia continua...Sottomarca


Tommy pensa ai cazzi suoi, scomodo. René straparla, lo stereo sputa fuori canzoni concedendosi brevi pause di riflessione in cui ti senti costretto a dire qualcosa, l’acido si arrampica scalciando e scivolando su per gli appigli morbidi del cervello, e Tommy non pensa a niente d’importante.
Suo padre fa slittare fogli gialli rossi verdi sul lucido legno del tavolo.
Come va, sei in pari con gli esami. Si si, babbo, non ti preoccupare.
Per pasqua passi un paio di giorni da me, lo sai, ti presento un po’ di gente. Si, non vedo l’ ora. Fogli che passano di mano in luoghi ameni immersi nel grigio suburbano un po’ viola delle sette di sera, mani che dell’inchiostro dei libretti sono ignare li fanno sparire, e son leste ad inumidirli le dita. Innocui involucri di plastica vengono spinti giù in fondo nelle tasche.
Vanessa fa la stronza, vuole essere unica, ma unica non è. Non le basta essere la migliore, la prediletta, la bambina prodigio. Tommy prova a spiegarglielo usando giri di parole a cui non crede neanche lui, tira in mezzo la relatività ristretta e i Beatles citando Bergson, viene infine preso a male parole e rimandato a esami di riparazione. Tocca subire la presenza obesa arrogante del buon René.
Lo spaccino di Merano per l’occasione si è strizzato dentro a un costume tipico tirolese, che visto l’impedimento nei movimenti deve risalire almeno a venti chili fa.
Visione vietata a cardiopatici e donne gravide, non sembra badarsene e zampetta gioviale tra Nevermind e il frigo, con il sorriso di uno che è rimasto chiuso dentro il tendone dell’Oktoberfest prima dell’apertura.
Tommy a volte lo odia per la sua allegria nonsense, sembrano un po’ Joker e Batman, a volte. Quasi sempre alla fine lo regge, lo appoggia addirittura, e un po’ ci crede, che sia tutta una gigantesca burla architettata da eminenze grigie rinchiuse in una stanza bianca con milioni di schermi.
Che loro vanno veloci perché niente intorno conta, che non si fermano perché sanno dove andare, non certo per paura di essere calpestati.
Altre volte invece gli sembra di essere nel posto sbagliato al momento giusto, un ridicolo impulso vivente con mille bisogni pressanti e poca voglia di soddisfarli che si accompagna ad un alcolizzato, uno che fa finta di essere divertito da tutto perché tutto in fondo lo deprime, uno che probabilmente morirà soffocato nel suo vomito.
Lui e René quelle volte sono solo gli ultimi testardi resti di una bugia che è dura a morire, i grotteschi rifiuti a una strafottuta vita sensata.
Suona il campanello e il pacchetto di Marlboro è quasi vuoto, e Tommy capisce che è solo una di quelle volte.

Maturità...Sottomarca - parte 3

Da Maturità


René spera di aver visto giusto. I formaggini Mio sono la morte della chimica. E quando la fame è imperante, come ora, se li manderebbe giù con la carta. Con occhio clinico esplora il frigo. 
Eccoli lì, i triangolari. Arraffa la scatola e ha la prima amara sorpresa della serata.
Ne è rimasto uno. Lo butta giù senza la carta, salvando la dignità. Sbatte le ante incazzato come una biscia mentre si segna insulti da girare a Tommy.
Quello stronzo va pregato in ginocchio per fare una fottuta spesa decente.
Non si ricorda l’ultima volta che l’ha fatta lui, la spesa. Lui non gira coi centoni sciolti in tasca, però. Tommy caga dinero. Varrà pure qualcosa.
Se il babbo installato sulla poltroncina in Confindustria sapesse che l’erede s’atteggia a
clochard, senza dubbio gli andrebbe storto il Bordeaux.
L’acido sì, René accusa, gli sta salendo irrimediabilmente storto. Adesso vede formaggini dove non ci sono.
Grossi, stronzi, gommosi formaggini che sorridono intorno a lui. Se allunga la mano li prende, e per un po’ ci pensa. Poi scuote forte la testa e sbatte ancora a caso, solo per dare fastidio a Tommy che sta cercando di parlare con chissà chi. Sente vagamente le voci mentre la canzone cambia sullo stereo. Chiunque sia sembra agitato. O forse è lui ad essere agitato in modo gratuito, e questo spiegherebbe perché la metà sinistra della sua faccia è ficcata dentro il barattolo della senape. È che gli sembra che ne resti sempre un po’, lì nell’ angolo, e se molla prima di lucidare il fondo la senape e Tommy lo prenderanno per il culo, e lui non vuole dargliene l’occasione, non stasera che la strada verso un tranquillo falò cerebrale sembra sempre più in salita.
Di là continuano a parlare, che avranno da dirsi. E perché Tommy non lo chiama, se è così importante. Il fastidio e la senape gli salgono in gola. Quello stronzo fa sempre così. È un fratello, sì, ma non condivide tutto. Ha amici che non presenta, tipe gonfie di amiche censurate. René non è così, è più morbido, quello che è mio è tuo, ma le fighe che si porta a casa non sono mai all’ altezza dei gusti aristocratici di Tommy.
Stasera divano acido, s’era detto. Francobolli, bocce e vediamo chi sbrocca prima.
La scimmia che devasta di più tra quattro mura, poca musica basta ad attizzarla, il resto viene da sé. Comparazione di seghe mentali con traduzione simultanea. Si potrebbe definire una serata di scambio culturale, un’occasione per confrontarsi sulle tematiche più scottanti, un rendez-vous tra i vertici dell’azienda. E adesso Tommy cerca un pretesto per sviare, sicuramente avrà chiamato una delle pessime che gliela tirano con l’arco solo per farsi qualche botta gratis.
René se ne sbatte, ma se Tommy pensa di essere l’unico ad avere programmi alternativi può anche farsi fottere. Dall’entrata arriva qualcosa di associabile a una risata. René non ci vuole credere, adesso se la ghignano pure. Lui in cucina storto come un cammello e l’infame non solo non lo caga di sbieco, ma si fa pure grasse risate. E di chi può ridere, se non di quel ciccione preso male di René?
A volte si vede con Tommy, ultimi lottatori rimasti nel fango a legnare e stringere in prese d’acciaio la buona famiglia le scuole private le ragazze serie con serie prospettive le lauree magistrali la compostezza a tavola uno straccio di regola, e un qualsivoglia ordine o scopo nelle azioni quotidiane.
Altre volte – qualcosa nel modo in cui accende la sigaretta all’alba sul balcone, non parla con i suoi da due anni zero esami uno straccio di storia nessun piano di riserva non una garanzia di arrivare ai trent’ anni per fare cosa poi – spegne la sigaretta sulla ringhiera.
Stasera, sarà perché il frigo è vuoto e Polly vuole un biscotto, è solo una di quelle volte.
René non distingue neanche più Kurt che si lamenta, gli sembra che lui e il barattolo quasi vuoto di senape e il frigo vuoto siano solo una premeditata risata alle sue spalle.
Il frigo trema ride si apre si chiude fa sbattere le bottiglie. Di fianco a lui impassibile nella sua dignità consapevole – il ceppo della Miracle Blade, con relativa serie di coltelli sfavillanti.
Per chi consumava l’incoscienza delle undici a.m. guardando con occhi a fessura un paio di baffi tagliare le marmitte con tripli carpiati davanti a una platea festante di cuochi palesemente alimentati ad antidepressivi, la serie completa è un pezzo da collezione pregiato.
René si ficca dentro le bermuda la lama per sminuzzare, ci sta a fatica, nasconde il manico con la camicia. Adesso è più sicuro. Il freddo acciaio gli fa venire i brividi lungo la coscia e lo fa sentire un po’ meno stronzo, può affrontare il salotto.
Se va storta potrà sempre sciabolare un ananas volante, e uscire indenne dall’imbarazzo.

Maturità...Sottomarca - parte 2

Gianna Privetti ha cinquantaquattro anni e ha sempre voglia.
Il suo Umberto è morto sette anni fa.
Un camionista non aveva trovato niente di meglio che tirare cocaina e bere una decina di digestivi prima di mettersi a guidare sulla Bologna-Firenze.
Gianna adorava suo marito. Scopavano ancora come conigli.
Il sesso non ha più avuto neanche un retrogusto lontanamente riconoscibile, dopo.
Certo Gianna ci aveva provato. Colpa di suo marito, con la sua voglia di vivere le aveva trasmesso una fiducia incondizionata nel futuro.
Pressante, inopportuna, inevitabile - Fiducia.
Non si è ammazzata dopo che ha riconosciuto il corpo. Colpa sua.
Poteva semplicemente lasciare andare la macchina giù per i colli.
Confondere il cognac della sera con un po’ di fenobarbital.
Qualche centimetro più in là sul comodino e lo sentiva, il velo di plastica che copriva l’alba.
La mattina dopo si è alzata. E le altre migliaia dopo.
Sempre trattenendosi. Indugiando un po’ su pensieri non suoi solo per provare l’ebbrezza della novità. Cambiare casa sarto ristorante – uccidersi.
Rinunciando solo perché nel frigo mancava il latte.
Sempre per lui aveva cominciato a uscire un paio di anni dopo. Cercando lui. Trovando solo angoli freddi di coperta.
Si era arresa all’insoddisfazione.
In maniera elegante.
Diceva.
Non senza un vigliacco rifiuto.
Pensava.
Ci sono sere in cui il remoto cigolio del letto torna come una risata amara, lei finge di non sentire e stringe gli occhi fino a farsi male, le dita nervose cadono dove possono.
Stasera è solo una di quelle sere. Il cassetto del comodino è aperto, dal letto ammicca il surrogato di un matrimonio di diciannove anni, gomma, realistico, ventitrè centimetri, nervature pronunciate.
La voglia è grossa e infame, tanto è il bisogno. Non è solo quello, ma non prova a spiegarlo alle sue amiche aperitivo-orto-fiction.
Non lo dice, ma lo sa, quando si toglie voglie di lattice è il solo momento in cui non pensa a lui,
al suo dito che regge il cartellino.
È il suo momento, il loro unico momento. Ma qualcosa non va.
Dalla parete suoni distorti. Musica. Voci che cercano di sovrastarla.
Lui non avrebbe mai affittato ad un paio di tossici stronzi.



To be continued...


mercoledì 16 settembre 2015

Maturità

Beh, io dico che che non c'è più poesia, non la sento, forse l'umanità ha perso il tocco. E
se resiste, è per uscire dal letto e riprendersi le scarpe e fuggire lontano dal mio prato - ecco che succede ad addestrare i cani ad azzannare i ladri - io non c'entro, passavo di lì per caso ad annaffiare i fiori.
Lo ammetto, l'ho vista chiedere la via e ascoltare attenta, l'hanno
travolta - un bus è uscito chissà dove da quel canyon - il suo fiato è stato breve, non sapeva che dire. Ma ero felice, perchè la sua mano, m'avea sfiorato - che cos'è stato, niente
adesso
dormi, ti racconto domani. Domani. Arriva più presto quando le palpebre
schizzano sotto le stelle che ti si tuffano contro, ti svegli e ridi, ti sveglierai senz'altro
ancora, non sarà qui, non sarai umano, così umano.

Scrivo allora un paio di righe
alla mia più cara amica, fortuna cieca, speranza insorta, reietta magra ma buona. Felice di averla
incontrata, lungo la strada, anche se non ricordo. - vieni qui alle due, senitirai
un fischio. - ho casa libera. Saremo bestie, fusi assieme nel fango. E chi ti riconoscerà
dopo, sarai uguale a tutte le altre! Non vedo più il cielo tanto è sommerso, dal tuo cibo raffinato e
dalle tue parole tenere - che bravo cacciatore sarei stato!
Ma resto qui,
in fila fresco, senza ticket, senza fame.
Ho preso la Maturità, saranno tre anni, cerco di limitare i danni, alzarmi sazio, dormire saggio.

Strapperò un pezzo della tesi per dimostrarlo, 

ecco un po' della 
mia sublime ignoranza. Mangiate e riempitevi. Appena pubblicata. 
Questo è il primo racconto. Il titolo è Sottomarca. Narra di coltelli, francobolli sotto il palato e vecchi duri a morire. L'ebook è disponibile su Amazon Kindle Store e mille altre librerie online. Quali sono le vostre scuse? 
Leggete, leggete - vi apre la mente. Sì, proprio come gli acidi, e viaggiare...e un volo sull'asfalto blu.  











                                Sottomarca






-a me fanno impazzire le parigine
-perché proprio loro
-non lo so, non c’è un perché, cioè, non hanno mai fatto qualcosa per piacermi così tanto, sai, è come quando mangi i cetrioli sott’aceto, magari li togli pure dal panino, però quando apri uno di quei vasetti con quei cetrioli enormi, ne mangi uno, due, tre, fai fatica a smettere, ti piacciono di brutto
-a me i cetrioli fanno cacare
-anche quelli sott’aceto, non ci credo!
-tutti i fottuti cetrioli
-ok…ok, ma li hai mai provati almeno
-li tolgo sempre dal panino, quegli stronzi!
-anche io, è quello il fatto, nel cheeseburger non posso reggerli, ma in vasetto, affogati nell’aceto, mi danno assuefazione quei bastardi verdi
-io non li ho mai provati sott’aceto, ma sono sicuro che non ne farei una droga
-che cazzo ne sai, scusa
-lo so, lo so e basta!
-cosa vuol dire, ma senti come parli, sei prevenuto
-adesso comincio a odiarli i cetrioli
-ecco, vedi, sei così prevenuto che le rarissime volte in cui ti capita di trovare una tipa disposta a farsi maltrattare da te, ecco che ti masturbi senza neanche darle l’opportunità
-non ti ascolto più
-bravo fai così, stronca discorsi che non comprendi
-che poi non ho ancora capito cosa ti fa sclerare nelle parigine, ma poi tu a Parigi ci sei mai stato
-ma che cazzo hai capito!
-cosa
-le calze! testa di cazzo, parlavo delle calze!
-quali calze
-le parigine, merda! le parigine!
-mah
-dai…quelle che arrivano appena sopra il ginocchio
-boh
-sono la cosa più seducente al mondo
-più della fica
-no, è chiaro che chi le porta deve avere una base di giustezza fascino o carattere, ma dirò che valorizzano pure chi di fascino non ne ha da vendere
-come le autoreggenti
-no, due universi paralleli
-per dieci centimetri 
-si sono proprio quei dieci centimetri che cambiano tutto quanto
-posso chiedere il perché
-claro, le tipe con le autoreggenti coprono tutto quello che possono e stanno sempre a sistemarsi la gonna, si mettono le calze perché dentro di loro pensano di avere quel sottile fascino da femmina fatale un po’ puttana un po’ educanda, ma in realtà non ce l’hanno, sono le stesse che attaccano quella che a loro dire più s’atteggia a puttana nel locale, solo perché ha le tette e può permettersi un vestito scollato. Lo fanno perché la invidiano. Perché loro le calze le mettono solo per autoconvincersi, mi segui, invece le tipe con le parigine se ne sbattono di sembrare quello che non sono, perché sono già quello che le altre vogliono sembrare, claro
-adesso sì che ho gli occhi spalancati
-lo sapevo
Campanello.
-forse è il parlare di stronzi verdi e stronze di lana, mi è venuta fame
-hai massacrato il frigo due ore fa, lo sai che sei un fottuto ciccione 
-non è colpa mia se l’ultima volta che hai fatto la spesa il super si chiamava emporio 
Campanello.
Campanello. 
-sfondati pure tanto è merda scaduta, io vado ad aprire a questi disturbatori della quiete pubblica
Campanello.
Campanello.
Campanello.
-arrivo, cazzo
Tommy apre la porta con l’aria di chi non è stato disturbato ma vuole darlo a vedere. 
René entra in cucina con la faccia di chi si ricorda vagamente di aver visto i formaggini Mio nel frigo.


I WANT MORE!













Leggere attentamente le avvertenze prima dell'uso. In caso di malessere contattare al più presto un medico. Tenere fuori dalla portata dei bambini, dei moralisti debosciati e delle donne senz'anima.

domenica 6 settembre 2015

So You Want to Be a Writer

An advice for those who want to be writers by the one who did nothing but write himself down to blank pages. If you don't have it, don't even look for it. It's just inevitable. 
By Charles Bukowski



E così vorresti fare lo scrittore

Se non viene fuori da te scoppiando
nonostante tutto, 
non farlo.
A meno che non esca dritto 
dal tuo cuore e dalla tua mente e dalla tua bocca
e dalle tue viscere,
non farlo.
Se devi stare seduto per ore
fissando lo schermo del tuo computer
o curvo sulla tua macchina da scrivere
cercando le parole, 
non farlo. 
Se lo stai facendo per i soldi
o per la fama,
non farlo.
Se lo stai facendo perché vuoi
donne nel tuo letto,
non farlo.
Se devi startene lì e
riscrivere ancora e ancora,
non farlo.
Se è un duro lavoro solo pensare di farlo,
non farlo.
Se stai cercando di scrivere come 
qualcun altro,
lascia perdere.
Se devi aspettare che ruggisca fuori
di te, 
allora aspetta pazientemente.
Se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos'altro.
















Se prima devi farlo leggere a tua moglie
o alla tua ragazza o al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o a chiunque altro,
non sei pronto.












Non essere come tanti altri scrittori,
non essere come tante altre persone 
che si dicono scrittori,
non essere stupido e noioso e 
pretenzioso, non farti consumare
dall'amor proprio.
Le librerie del mondo
hanno sbadigliato
fino ad addormentarsi
per tipi come te.
Non aggiungerti a loro.
Non farlo.
A meno che non schizzi fuori
dalla tua anima come un razzo,
a meno che trattenerlo 
ti porti alla pazzia o
al suicidio o all'omicidio,
non farlo.
A meno che il sole dentro te
stia bruciando le tue viscere,
non farlo.











Quando sarà il momento

e se sarai stato scelto,
verrà da sé e
continuerà a farlo
finché morirai o morirà dentro di te.

















Non c'è altro modo.


E non c'è mai stato.





sabato 5 settembre 2015

Vodka, caviale e l'orso di San Piter - Prime parole ed espressioni utili in russo

Ai tempi del'Unione Sovietica non era difficile trovare un occidentale convinto che se avesse fatto una vasca tra le vie di San Pietroburgo si sarebbe trovato sommerso dagli orsi - qualcuno, più americano che altro, ancora crede che i russi tengano in casa gli orsi per addomesticarli come cani e gatti. A me, devo dire, non dispiacerebbe - già immagino quest'orsetto di cinque quintali abbioccarsi sul divano...Certo è che la cultura russa è ricca e imprevedibile, e se qualche usanza può stranire lo straniero - sti giochi di parole sono irresistibili - per esempio la sauna tutti nudi e sconosciuti e frustrarsi col ramo di betulla, oppure gli sguardi torvi al saluto o nelle fotografie - non chiedete ad un russo di sorridere a caso, s'incazzerà, lo ritiene una perdita di tempo - su due punti non si può proprio discutere: 


  • La tavola è fondamentale, centro di gravità permanente delle abitudini e delle feste del buon
    russo. I russi invitano, vanno vengono e s'imbucano alle tavole di tutti. Rifiutare un invito a pranzo è come sputare nei loro piatti, pisciare sulla moquette e lanciare il gatto - o l'orso - dalla finestra tutto in una volta.
  • A tavola non si beve acqua, ma vodka, un pozzo di vodka. Prima, quando vengono serviti gli antipasti, durante, con le zuppe e le minestre, e dopo, col caffé. E meglio se alla fine ci si ricorda di stramazzare fradici, è segno d'aver gradito il banchetto.


Ecco perché un turista che appoggia il piede sulla santissima madrepatria russa deve essere in grado di stare a tavola, e pronunciare le sue prime parole russe con bocca impastata ma sicura.

Ma prima meglio presentarsi: trovate una brava babushka, una nonnina, preferibilmente carica di spesa, appurate che non sia di palese stampo nostalgico-sovietico - quelle vi menano anche - e buttate lì in scioltezza:

добрий день!                                                                           Buongiorno!
Меня зовут...                                                                           Mi chiamo...
я бедный итальянец студент.                                            Sono un povero studente italiano.
Не подскажете ли, пригласить меня но обед?             Sarebbe così gentile da invitarmi a                                                                                                             pranzo?

Se la babushka vi risponde una cosa del genere:

Кто не работает, тот не ест.                                                Chi non lavora, non mangia.

Ringraziate, salutate e andate al MacDonald's. 

Cпасибо, до свидания!                                                         Grazie, arrivederci!                                        











Ma se clamorosamente la simpatica vecchietta accetta, allora dovrete essere ospiti irreprensibili, e prepararvi a una striscia apocalittica di brindisi: eccone alcuni che potreste sentire, e ripetere, ad ogni sorso di vodka vino o kvas - una birra leggera a base di segale -

За здоровье!           Alla salute!   
За встречу!              All'incontro!
За любовь!              All'amore!

E se ad un tratto vi sembrerà di sentire l'alito d'un orso sul collo, lo strimpellio d'una balalayka nell'emisfero sinistro, oppure semplicemente crederete d'aver sentito i commensali parlare bene di Putin, allora è il caso che passiate al succo di frutta! 






Ricordate di non sedere mai all'angolo di una tavolata - o non vi sposerete mai- e di non appoggiare le bottiglie vuote sul tavolo, che vanno posate per terra. Queste mosse attirano la sfiga, ma potrete sempre rimediare: rompere i bicchieri porta fortuna.

Ok, se avete seguito le istruzioni molto probabilmente
siete sopravvissuti ad un pranzo russo: ora non vi resta che chiedere alla babushka la mano della nipotescappare quando tutti si saranno addormentati e tornare ogni Natale, che i russi festeggiano il 7 gennaio, per essere accolti come eroi che hanno fatto fortuna lontano dalla madrepatria.