Abbiamo lasciato il nostro prode Carlo nell'impresa di respingere l'attacco d'una pantera incazzosa.
Ecco come se la cava.
Pulp!
È strano il primo
pensiero quando apri gli occhi e ogni singola fibra del tuo corpo
vorrebbe denunciarti per stupro. La stanza sarebbe perfetta per un
sequestro di persona da poliziesco belga. La scelta è andata in
netto favore della convenienza, a discapito di stile e suspence che
pure sarebbero stati graditi. Almeno qualcosa di simile a delle
manette.
Carlo cerca di
lanciare uno sguardo di sufficienza agli strati di scotch che fanno
sembrare il suo braccio uno zampone. Chi l’ha legato deve provare
qualche specie di risentimento verso di lui.
Può sentire il
sangue che stagna nelle vene. Metà della sua faccia esiste, l ‘altra
semplicemente non è pervenuta. L’occhio destro non si apre.
Orgasmo alieno. Deglutisce un paio di volte e la mascella lo
supplica. Pavimento. Peso insostenibile tra le gambe. Orgasmo alieno
pavimento e capelli biondi. Spera che Fiordiloto sia viva. Spera che
sia stata lei a legarlo. Magari ha abusato di lui ed è andata a
prendere le sigarette. Ne sarebbe lusingato.
Le perdonerebbe i
modi bruschi e la sistemazione superficiale.
Ti aspetti di vedere
caviglie sottili e polpacci abbronzati, lasci vagare la mente su
certe lascive chiacchere nella stanza anonima di uno squallido motel.
I pensieri ancora si
fanno cullare da dolci morbidi praterie quando la porta si apre –
non cogli subito lo sviluppo delle vicende.
Quello che vedi sono
sandali numero cinquantadue, calza bianca impeccabile e polpaccio
scottato dal sole spagnolo. Alzi lo sguardo sperando di sbagliare.
Il tenero maritino
della pantera viola deve aver provato quella faccia per tutto il
tempo in cui Carlo è rimasto svenuto. Il risultato è talmente
plastico e inverosimile, Gary Coleman che vuole fare l’incazzato,
che Carlo gli sputa una risata in faccia.
Cinquanta chili di
mano rubata al tornio si abbattono sul suo sterno e gli fanno
comprendere tutta l’ironia del momento. Sandalo attende docile che
Carlo riprenda fiato, poi comincia il suo terzo grado da
sequestratore di persona nei giorni festivi. Parla italiano ma è
chiaramente un crucco, ha l’accento tagliato da crauti e birra
chiara a colazione. Carlo potrebbe anche sorvolare, se non fosse per
quella vocetta da quindicenne sull’orlo di una crisi premestruale.
Si morde le labbra ma probabilmente tradisce una smorfia, un pugno
teutonico gli affonda tra le costole.
Carlo si vomita
addosso. Sandalo osserva con disgusto il mosto violaceo sulla sua
camicia. Vuole sapere che cosa ha fatto a sua moglie. Posta così la
questione, la vittima sembrerebbe la pantera ninfomane dagli artigli
viola. Carlo gli fa notare che è stata lei ad aggredirlo. Altro
pugno nei reni. L’unico crucco che difende l’onore della sua
donna come un picciotto negli anni ‘30 alloggia qui, nella stanza
sailcazzo dell’hotel bucodimerda. Carlo non riesce più ad
articolare una frase, stomaco reni e fegato sono un miscuglio
informe, lui stesso è un pasticcio di carne fumante che aspetta di
essere sciolto dalla grezza saliva teutonica. Colpi da qualche parte,
forse dal bagno.
Sulla faccia di
Sandalo la rabbia caricaturale lascia il posto alla paura, genuina.
Le calze fanno due passi dentro i sandali, ma l’incedere non è
spavaldo come prima. Sandalo schiude appena la porta, con la faccia
da artificiere. Welcome to the jungle. Qualcosa di
simile a una pantera incazzata come una biscia si avventa su Sandalo.
È legata a una sedia come un quarto di bue, lancia urla sconnesse e
sputa sangue e saliva, ma riesce nella mirabile impresa di stendere
un quintale di germanico onore offeso. Sandalo si rialza bestemmiando
con quella sua voce mestruata e roca assieme – a Carlo ricorda la
sua prof di tedesco al liceo quando le tiravano le palle di carta
bagnata dentro la camicetta. Visti così, lui che si rialza senza
fiato e cerca di sbattere contro il muro la sua tenera metà
costretta alla sedia da svariati metri di scotch, potresti scambiarli
per due irreprensibili sposini che sperimentano con lieve imbarazzo
una trasgressiva luna di miele. Sandalo chiede quindi collaborazione
tramite un montante alla mascella.
La ninfopantera
tace. Il suo sguardo più bovino che felino incrocia quello tumefatto
di Carlo.
Carlo – appeso al
letto come quei maiali che la nostra ninfopantera macellava insieme
al padre, nelle lunghe notti di metà mese in una qualche modesta ma
curata fattoria della Repubblica Democratica Tedesca, aspettando
invano le vacche grasse per l’acquisto di una Trabant color malva,
le vasche a Berlino Est e un concerto dei Pink Floyd. Carlo, Meine
liebe, che sicuramente non sfigura davanti ai wüsterl di
Francoforte, grossi ricurvi e lisci, che tanto le piaceva leccare e
fare scivolare per metà in bocca davanti alla faccia sgomenta del
cuginetto, e poi guardarlo scappare in bagno e stare fuori dalla
porta con le orecchie tese e le dita un po’ umide, segretamente
orgogliosa di farlo esplodere tra quei gemiti, eccitarsi quando
all’odore della pelle di maiale si mischiava quello aspro delle sue
pareti interne.
-Devi scopare mia
moglie.
Sandalo è
irrimediabilmente secco, asciutto, teutonico.
-Cvarda come l’hai
ridotta, non ho mai fisto niente del genere, cvardala…è una
pestia!
Cosa credi, che non
si sia mai scopata nessun’altro? Mia moglie è un po’ puttana,
ok, ma chi non lo è. Andiamo in facanza, lei si scopa un cameriere,
io befo qualche birra al bar e gioco a carte, non succede nulla. Ma
non l’afefo mai vista così…spafare, urlare, perdere il controllo
come una cagna in calore! Scopala, sbattila fino a farle perdere i
sensi, non mi importa…falle quello che vuoi, ma soddisvala. Foglio
che torni come prima, un po’ troia va bene, non una morta di cazzo.
Adesso la slego, ok?
La libero e tu te ne starai lì buono…a varti scopare come un
liceale che non ha mai fisto una tetta, ok?
La ninfopantera
guarda Carlo, e i suoi occhi si sciolgono, le labbra sono attaccate
ad uno stimolatore, i suoi menti sudati e bruciati dall’ingrato
sole catalano ballano, si staccano dalla faccia, colano giù fino al
pavimento, sopraffatti da un’eccitazione umanamente
incomprensibile.
Carlo rimanda
indietro un conato, la smorfia che fa non è amore
passione o istinto
animale, ma alla pantera poco importa. Lo scotch va via veloce, solo
qualche striscia tra
la bestia letale e l’inerme preda, tra l’assalto di un possente
felino in via di estinzione e la morte quasi certa dell’animale più
debole. Darwin, no? La legge del più forte, del più stupido, del
più arrapato. Non sei consenziente, cause, tribunali e iniezioni
letali? Dimentica quella che studi sui libri, quella che rispetti,
quella che invochi appeso ai titoli del tg, dimentica la legge. Se lo
vuoi stai per sanguinare, è solo il prezzo da pagare. Ma la
ninfopantera non sa nulla di risultati scontati, selezione naturale,
supremazia della razza. Ha le braccia libere.
Le fughe tra le
palme non sono più un ricordo. Colpisce il marito una sola volta,
sull’ultima vertebra del collo, una gomitata di rito, di
frustrazione. Centodieci chili di salute economica teutonica, incluse
le corna, crollano a terra con un soave lamento da ragazzina persa
nel trip del principe azzurro.
La pantera più
arrapata di sempre spicca il salto della disperazione e dell’amore
eterno.
Come ogni passione
inestinguibile, anche la sua deve superare un ostacolo.
Il suo è ben
interpretato dal mezzo metro di nastro adesivo resistente alle alte
temperature che le incolla le caviglie alla sedia. Una volta maestosa
nella sua grazia felina, abbandona la scena così, ottusa come una
scrofa, sullo spigolo del letto. L’occipite temporale destro le si
apre come un rubinetto. Carlo non ha più dubbi sull’attitudine
selvatica. Il sangue che gli schizza sul polpaccio è bollente.
Nell’aria solo una vaga promessa di notti infuocate.
Resta a guardare la
fronte dell’ex pantera espellere le ultime gocce, il sangue che si
allarga a ventaglio sotto il collo smisurato, gli artigli che
grattano senza un comando dal cervello.
Sandalo, svenuto e
senza onore. Dall’ematoma sul collo saresti quasi disposto a
credere, che era sinceramente offeso e forse ci sperava, in questa
chiavata riparatoria a danno di terzi.
Non è all’ipocrisia
di un matrimonio che pensi, non quando cerchi di mordere lo scotch
che ti strozza i polsi, non quando i denti tagliano l’aria a un
millimetro esatto dalla tua trappola. Poi bussano alla porta. Tu
speri siano dei tossici che cercano di tirare fuori l’ultima dose
del giorno dal cilindro, ma non disdegneresti neanche l’Interpol
che vuole sgamare sul fatto il serial killer delle coppie. Un
coltello alla gola, un paio di manette ai polsi, qualsiasi colpo di
teatro che faccia sparire i due manzi che sguazzano nel sangue ai
tuoi piedi e lo scotch che ti inchioda sul letto, agnello sacrificale
graziato dall’ironia malsana degli dei.
La porta si apre. In
quel momento ti tornano in mente parole rimosse, mai ascoltate.
È un tuo antenato
che ti parla dal divano, un pomeriggio torrido di luglio
post-maturità, mutande da età napoleonica e benda sull’occhio. Tu
lasci che sia l’ictus a parlare, presente più o meno come le
sagome di cartone fuori dal multisala, e così ti sfuggono
le grandi
lezioni.
Nella vita non
sempre ottieni ciò che vuoi.
No, aspetta, l’ha
detto davvero?
Tira più un pelo di
un carro di buoi?
Grasse risate, gioia
per l’intraprendenza di chi sembra che ci stia per lasciare, e
invece è ancora lì a cogliere la realtà nei suoi aspetti più
crudi.
Ma ti sfugge la
perla di saggezza. Forse avresti dovuto fare almeno una guerra, un
conflitto anche banale, una rissa in un bar. Forse avresti una vaga
idea di quello che sta entrando dalla porta.
Ma non ti serve la
leva obbligatoria per riconoscere la più grossa donna delle pulizie
della Catalogna, ai primi posti anche in Europa. Carlo non ha ancora
perso la poesia, nemmeno dopo lo stupro che l’ha appena sfiorato, e
gli sembra che il cielo sia entrato
nella stanza. Questo
perché la divisa della donna è di un gradevolissimo azzurro
pallido, e le dimensioni sono quelle di una tenda di otto posti. Non
penseresti mai di vedere da vicino il frutto dell’accoppiamento tra
un pilone samoano e un bisonte, e quando te lo trovi davanti, che
annusa l’aria strizzata nella sua uniforme senza macchie, ti sfugge
un unico, lungo, rassegnato lamento.
Il bisonte caduto
dal cielo lotta un po’ con lo stipite, rilascia soavi grugniti,
riesce infine
ad insinuarsi nella
stanza.
Abbraccia con uno
sguardo Sandalo la pantera il sangue.
Carlo.
Sputa sull’etica
professionale e
balza lentissima sul
letto, un paio d’assi esplodono.
Si sistema sopra
Carlo, leggiadra e letale, lo sguardo che non lascia dubbi sul
significato dell’espressione -rifare il letto. Forse è quel filo
di saliva che le cola sul naso e poi torna su, e ancora giù, bungee
jumping da vomito certo. Forse Carlo sente per la prima volta il
pressing dell’istinto di sopravvivenza. Non si tratta di mangiare
vermi e scorpioni, ma della ben più nobile impresa di salvare il tuo
culo dalla carica di un bisonte lanciato sulla prateria nella
stagione degli amori - colpo di reni e testata nel centro perfetto
della fronte. Al bisonte si incrociano gli occhi. Rantoli dal fondo
dello stomaco. Perdita dei sensi graduale. Carlo chiude gli occhi.
Centoquarantasei chili di amore non corrisposto si abbattono
sull’umile letto matrimoniale.
I polmoni diventano
noci. Carlo sa di avere poca autonomia, sepolto sotto quell’ammasso
di grasso e sudore. Il bisonte denota estrema cura per le unghie,
lunghe venti centimetri e coperte da un bugiardo smalto rosa. Carlo
le usa per tagliare lo scotch. Sarebbe cosa buona e giusta tornare da
una vacanza con un briciolo di dignità, quindi è più saggio
risparmiare i dettagli sui patetici tentativi di liberarti
dall’abbraccio troppo entusiasta del bisonte, un paio d’ore in
cui mangi sudore e provi a scivolare sotto due enormi sacche di
sabbia che si atteggiano a tette.
Carlo esce per
strada, un vicolo del porto che non fa nulla per nascondere la sua
nobile decadenza, e la prima cosa che nota è una luce intensa che
non viene né dai lampioni né dalle insegne. Dalla sua tasca. Estrae
l’iPhone con il terrore che gli esploda in mano. Deve chiudere gli
occhi. Una vagina rosso fuoco brucia migliaia di watt sullo schermo.
Carlo distoglie lo sguardo e vede macchie di luce tutto intorno. Sta
guardando un’eclissi vaginale. Barcolla per un po’ in mezzo al
vicolo, nessuno bada a lui, è solo un altro deluso che ha deciso di
lasciare il fegato al porto. Rimette l’iPhone, che adesso scotta,
al sicuro nella tasca dei jeans. Cammina fino a un bar tristissimo,
attento a non incrociare lo sguardo di nessuno. Prende una birra e si
siede sull’unico sgabello fuori. Si brucia i polpastrelli, ma
riesce a tenere premuto il dito sull’icona della vagina. Le altre
icone vibrano. La vagina sparisce. Carlo fa un pensiero strano.