Solo ciondolo per
l'avvinghiate vie del centro,
gomiti miei vien l'ora di
baciarsi!
Su di noi rovescio dolce
s'abbatte, fiato funambolo,
malavoglia di tirar
sospiro!
Sulla strada d'Amerigo
casco spaesato, ma
non tirava vento sul mio
balcone?
Eppur il cappotto mio saldo
al fianco,
avanzo d'armatura coperto.
Ma ecco, ogni panchina è
già presa,
divelte lingue per scacciar
maligno silenzio,
crogiolo di promesse al
feltro s'ode sullo sfondo,
dimenticavo, su tal
spiaggia salivante son molesto!
Tolgo l'occhio al
passaggio, fossi mai
d'avido sopracciglio
tacciato!
Su quel ferro gocciolante
schiocca il sole,
quando dal trespo cadono
quattr'occhi:
– che fai, forse indugi
su quel manzo?
– ma che dici, se per le
tue papille questa mia laringe gratta!
– ah è così, dunque
ridi dell'agro mio limone?
– ecchè favelli? Infine
dolce venne, invero, il respiro…
Scoppiarono gli assi, lo
giuro!
Su questa mia fronte
stupefatta giuro,
gli amanti si fecero gonfi
e torvi,
come gli scorpioni al
punger le morbide carni d'un coniglio.
Sospinto dall'acida brezza
m'accascio dal Chirurgo.
Lievi polsi fremono al
prezzo d'un sol biglietto,
sul triclinio arcigno si
masturba un antiquario,
piangon le puttane pei
lampioni spenti.
Ma perché colla poesia
vado sporcando
codesto bestiale sbraco? E
sia, m'accquatto,
guardinga una coppietta
s'arrangia per godere,
rischiose fessure colme
d'avventurose dita!
Infiammo tosto il tabacco,
conscio,
non v'è piacere più fine
di quello che nuoce.
Ed ecco la pulzella
stringer per le palle il suo tomo,
ecco montar alle stelle
l'immortal desio!
Ma no, quello sbotta, e
colle mani scaccia,
della tresca se ne
infischia e punta il muso,
– chissà quali verghe
impugnasti colle sozze dita!
– ma che dici amor mio,
l'aurora mi colse digiuna!
Salto in piedi e lustro
l'occhio,
attorno alla pugna s'è
fatto un crocicchio,
chi il giovane fellone
spinge al dovere,
chi dell'offesa pulzella
mastica il cuore.
Ma che succede, Rimini, tu
fosti
sì ridente villaggio,
taverna rombante,
quando ti facesti tana di
serpi,
dell'amor schifato nella
piazza dileggio?
Vien per me l'ora di gustar
sommo silenzio,
lontano dai guai e dalle
palpitani budella,
oh dio dei perdenti sempre
rubicondi,
versa nella mia suola
d'allegria un fusto.
Ed eccomi quindi all'ombra
d'Augusto,
ch'almeno qui possa far
della brama tormento,
e d'uno scomodo santo
ridicolo sbuffo sul mento,
d'ogni fiato un verso,
d'ogni labbro cemento!
Fusa la tremante schiena
nel marmo,
m'alzo il bavero e canto,
marinaio,
la mia sirena tra bollenti
flutti dispersa,
che ragione avrei d'esser
desto, se lei…
Botto, scanto, dannato mio
mondo!
Pietra di lacrime unta,
l'erba grida -sciagura!
Sbatte l'unghie Cleopatra,
dietro s'affanna Antonio,
lacere vesti strillano
colpa, Roma tradita, giorno funesto!
Pare che pel mio cuore
stanco non vi sia pace,
ubriaco del pianto d'un
mondo a metà,
– Amore, – intono, –
non v'è scampo,
un giorno lungo una vita,
t'ho voluto
e t'avrò.
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