Maturità

martedì 22 settembre 2015

Maturità...Sottomarca parte ultima

Dopo lo stallo alla messicana, ecco il gran finale sangue e lattice.
La fonte è sempre quella, per chi fosse uscito a prendere le sigarette: Maturità.
Questo è il primo racconto. La prima sciabolata sta per esser calata...


Renzo Gianello aveva appena spento una Lucky Strike. L'ultima del pacchetto, la più buona della giornata semplicemente perché dalla camera da letto arrivava il respiro di sua moglie, lento e ipnotico come sapeva essere solo dopo che le era venuto dentro, e la promessa di notti insonni galleggiava ancora nei meandri delle probabilità.
Aveva fumato in cucina, Stefania odia il passivo. L’arrogante tabacco tostato chiedeva di essere sciolto con due dita di single malt, come suo padre faceva sempre, nelle serate torride in cui le bollette sbattute sul tavolo con indignazione operaia facevano più rumore del rigore di Cabrini che sbatteva sui cartelloni, e come alla fine si era stranito quando gli avevano proibito di fare, non le metastasi al fegato ma gli infermieri, è un peccato non morire diceva a Renzo, per farlo ridere anche quando non c’era più l’ombra di un motivo per farlo.
Il posacenere fumava ancora, il telefono ha spaccato in due l’appartamento buio.
Renzo risponde, e quasi gli sembra di sentire un sospiro aggredirlo con studiata malinconia dalla camera. Sa che metterà giù tra una trentina di secondi al massimo e cerca di ricordare dove ha buttato i pezzi della divisa quando Stefania gli ha aperto la porta nuda chiaramente senza malizia.
Sette minuti dopo è in strada, la bocca ancora impastata dallo scotch che non ha voluto mischiare alla saliva calda di Stefania per non lasciare rimproveri sospesi – a quanto pare un tossico ha massacrato quattro pensionati in un bar appena mezzora fa.
Arriva sul posto, bar sport sedie di plastica verdi gelati della Sammontana quattro cadaveri sangue e piastrine sul bancone.
Un tizio sulla quarantina, più sopracciglia che capelli grembiule pezzato occhi sbarrati baffi grondanti sudore, e un altro di qualche anno più vecchio, occhi spenti bocca che si muove senza emettere suoni mani che sfregano sui jeans – cercano di dare una parvenza di senso agli sbadigli di due uomini in divisa seduti di fronte a loro.
Quello più vecchio e apparentemente più provato dei due all’entrata di Renzo si sblocca e si presenta, lancia occhiate dense di esperienza alle tre stelline sul suo braccio, come se trattare con i commissari di polizia fosse un hobby alternativo e un po’ naïf da praticare nei sabato pomeriggi estivi.
Il racconto del Brentani gli inumidisce la giacca, ma il commissario capisce che deve solo sfogare la tensione e lo lascia parlare per cinque minuti buoni. Quando il Brentani termina e chiede un bicchiere d’acqua al barista, ricevendo in risposta lo sguardo vacuo dei cani abbandonati in autostrada, Renzo pensa che probabilmente neanche sua moglie, che letteralmente si bagna per Law and Order Criminal Minds e The Mentalist, ha mai sentito parlare di un ciccione in costume tirolese che affetta quattro pensionati in un bar con un coltello per tritare le verdure con il solo movente di non aver trovato un ananas per soddisfare chissà quale allucinato bisogno.
E poi torna a casa come se fosse normale, la casa in cui abita in fondo alla strada.
Il Brentani, che evidentemente non era così in panico da riuscire a farsi pienamente i cazzi suoi, si è affacciato sulla strada proprio mentre il ciccione imbucava una porta forse un centinaio di metri più avanti.
Renzo fa un cenno a uno dei suoi uomini mentre guarda storto il macello ai suoi piedi e dice all’altro di aspettare la scientifica, e gli sembra di essere il fottuto Horatio Caine anche se è ben consapevole che i Ray Ban con la nebbia sarebbe cagare spudoratamente fuori dal vaso.
Chiede una sigaretta all’ agente per sopperire, e gli viene da chiedersi se non si sente coglione a fare irruzione in casa di un pluriomicida fumando Diana Blu.
Nel palazzo al primo piano ci sono due porte, una è socchiusa.
Renzo conclude che tutti i Brentani di questo mondo devono andare a farsi fottere.
Calcia la porta con poca convinzione e inquadra il divano alla sua destra, occupato.
Anche la poltrona lo è. Si accorge subito dalle pose innaturali che il salotto non sprizza di vita.
La poltrona è di quelle reclinabili con i braccioli gonfi e il porta bicchiere.
Il corpo seduto scomposto è di quelli magri nervosi, lo squarcio sul petto è irregolare come se qualcuno avesse frugato in cerca di qualcosa.
L’espressione è di quelle sorprese e se la guardi da vicino sotto la luce bugiarda delle alogene puoi vederci anche un po’ di rancore.
Il coltello è lungo e leggermente seghettato, ai piedi del corpo, pulito, non è stato usato.
Il divano è di quelli a tre posti di pelle nera che ti inchiodano gambe e schiena quando sudi.
Il corpo rilassato è di quelli grassi di quel grasso noncurante e spavaldo, il collo è lacerato in più punti e dallo squarcio più vicino alla carotide parte un rivolo rosso che corre su tutto il petto e si ferma sulla grossa cintura di cuoio.
La smorfia stampata sulla faccia è solo di rabbia repressa sul punto mai raggiunto di essere sfogata.
Il costume è tirolese.
Il coltello è largo piatto e liscio, il manico è precario nel pugno semiaperto, pulito tranne una sfumatura di sangue rappreso.
Una vendetta quanto mai puntuale della famigerata cosca dei pensionati al bar sport?
Renzo è sempre più convinto di fare la comparsa in un macabro scherzo.
Dall’appartamento di fianco l’eco di piatti che sbattono e acqua che scorre, i muri sottili travisano sulle forme di vita, in spregio dei litri di sangue che vanno stagnandosi sui corpi sul divano sul pavimento.
Renzo suona alla porta dell’appartamento accanto chiedendosi cosa ne è stato della sana abitudine del buon vicinato di farsi i cazzi altrui, impensabile che chi abita lì dentro sia rimasto indifferente agli effetti speciali della carneficina.
Un guanto di plastica verde si appoggia allo stipite, un sorriso da rivista di bricolage e uno squarcio di salotto arredato con cura patologica.
-è la signora Privetti?
-si, desidera?
-salve signora, scusi per l’ora, sono il commissario Gianello della polizia di stato, vorrei solo farle un paio di domande riguardo agli inquilini dell’appartamento di fianco al suo, purtroppo
-ma lo sa che lei è proprio un bell’uomo?
-si, la ringrazio signora, ma se per favore potesse prestarmi un attimo di attenzione…nell’appartamento qui di fianco è successo un fatto molto grave…i due ragazzi, gli inquilini, sono morti, quasi certamente assassinati
-beh, non mi dica che lei non ha mai avuto dei vicini rumorosi
-mi scusi?
-la prego non stia lì in mezzo al corridoio, si accomodi…gradisce qualcosa, un tè, un caffè
-no…no grazie, signora…stava dicendo qualcosa in merito ai vicini
L’acqua nel lavello scorre ancora, beffarda e incongruente.
-lava sempre i piatti a quest’ora, signora
-oh ma non sono piatti, commissario, lei è sposato?
Il lavello continua a sputare acqua senza nessun motivo apparente, Renzo fa due passi oltre il salotto plastificato ed entra nella cucina.
I dettagli salienti sono i ripiani in laminato scuro la macchina da caffè rossa lo scaffale per spezie in legno massiccio il secchio nero per la raccolta differenziata il lavello rotondo bianco, e – il ceppo in ciliegio, anonimo, privo di marche targhette o firme, con relativa serie di coltelli. Ne manca uno. Il lavello scorre, Renzo individua il motivo.
-lavava un coltello, signora
-si, commissario, glielo dicevo che erano rumorosi. Lei ha una vaga idea di quanto sia preziosa la solitudine…il silenzio?



THE END

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