Maturità

giovedì 16 luglio 2015

My soul is so green that I could puke

Quella mattina preparammo la roba in silenzio. Camminammo fino alla stazione, portando la nostra dote come re muli, come loro leggeri, un pensiero saldo nella mente. Gli uccelli intorno eseguivano rituali complicati e noi coglievamo i deboli segnali di quei cervelli vuoti lassù, nessun disturbo, nessuna malizia intrinseca al respiro. Il treno era in ritardo, così accendemmo un falò. Faceva caldo, caldissimo, ma eravamo abiutati a sudare. Ci piaceva. Un po' della nostra malinconia scivolava sulla pelle e non faceva più ritorno. Ci perdemmo tra le le parole di Dostoevskij, adesivo mantra passeggero, troppo giovani per essere immortali, troppo vecchi per essere ancora vivi. Le rotaie vibrarono di gioia inesplosa, un'ora dopo, salimmo gli scalini alla carrozza 9 con un un tremito di schiavi, incerti sul padrone da servire. Centoventi minuti dopo eravamo ancora liberi, Termini, il sole ci spaccò le guance, buon padre salutista. Aspettamo la metro. La gente gridava, qualcuno gonfiava il pelo, altri passavano gli artigli sul granito. Ci ritirammo nella nostra tenda del sudore, nella tana saremmo caduti solo alla fine. Lessi tutte le fermate, fermando un brivido per ogni sorriso che tra quei muri stava nascosto. 

E così fu, in superficie le lingue rotanti aggrappate alla speranza, rivedere la luce, porgerle un'ultima critica oscurantista. Montecitorio, serpenti scopavano relique esperte d'odio. Piantammo la nostra tenda. Davanti al Palazzo. La bandiera giallaverdeblurosa a coprire gli sguardi. Cercavamo fiducia, o forse fede, un guizzo di quella patetica sbobba che colava dai miracoli. Fuochi di natura repressa esplosero, giù dall'iperuranio compressi in sette centimetri di extravergine eldorado. Un cane smise di pisciare per godersi l'ultimo rivolo come se davvero, come se davvero non l'avesse mai visto prima. Comparve una cravatta. Fummo redarguiti, scherniti, lentamente assuefatti alla giusta morale. Ma il vento cambiò - le ombre si fecero più morbide, minacce di pioggia acida sui colletti di candido marmo, preghiere senza suono, respiro buono. Funghi elettrostatici alle nostre spalle, assiepati, sfrigolavano padelle di pubblico delirio. Eccoci qui, siamo questi. Questi i nostri nomi scritti in corsivo impeccabile, queste le nostre firme sul trattato di pace. Scoppiarono bottoni, schizzarono segreti, finì, ve lo giuro sulle mani intrecciate di quel sabba tra i ciottoli della democrazia, finì l'inchiostro. 

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